
Si è conclusa senza esiti significativi la maxi-inchiesta riguardante la cannabis light, un’indagine che ha coinvolto 14 persone e numerose aziende nel settore della canapa. Il tribunale d’appello di Torino ha archiviato il caso, dichiarando l’attività delle aziende «essenzialmente lecita». Tuttavia, l’archiviazione non cancella i danni già inflitti a un settore che conta un giro d’affari da mezzo miliardo e dà lavoro in pianta stabile a 10mila persone, che diventano 30mila durante i picchi stagionali.
Avviata dalla Procura di Torino nel maggio 2023, l’inchiesta ha portato a perquisizioni in 49 rivenditori e distributori automatici nelle province di Torino, Cuneo, Forlì-Cesena, Lecce, Milano, Monza-Brianza e Rimini. I carabinieri del NAS hanno sequestrato oltre 1.800 chili di infiorescenze, insieme a 6 computer, 12 smartphone e documentazione varia, per un valore commerciale complessivo di circa 18 milioni di euro.
Le accuse iniziali includevano produzione e traffico di sostanze stupefacenti, ma le analisi successive hanno rivelato che solo una minima parte del materiale sequestrato superava i limiti legali di THC, fissati a 0,4% nel 2023. Secondo l’avvocato Massimo Munno, che rappresentava una delle aziende coinvolte, solo un chilo di infiorescenze era fuori norma, probabilmente a causa di una «contaminazione involontaria».
Nonostante l’archiviazione, le aziende del settore devono affrontare conseguenze devastanti. Gli oltre 1.800 chili sequestrati non possono essere commercializzati a causa della scadenza dei termini di freschezza. Inoltre, il DL Sicurezza, entrato in vigore il 12 aprile 2025, ha reso illegale l’intera filiera della cannabis light, vietando importazione, cessione, lavorazione, distribuzione, commercio, trasporto e vendita delle infiorescenze di canapa. Il decreto, fortemente voluto dal sottosegretario Alfredo Mantovano, modifica la legge 242/2016 sulla filiera agroindustriale della canapa e prevede sanzioni penali con pene da 2 a 6 anni secondo il Testo unico sugli stupefacenti.
Prima del decreto, il settore rappresentava una realtà economica significativa: circa 800 aziende agricole, 1.500 imprese di trasformazione e oltre 1.000 punti vendita, per un totale di oltre 3.300 operatori attivi. La filiera serviva 6 milioni di consumatori e aveva un valore stimato di 2 miliardi di dollari, generando almeno 22mila posti di lavoro. Dal 2013 al 2018, i terreni coltivati erano aumentati di dieci volte, passando da 400 a quasi 4mila ettari, con investimenti in Puglia, Basilicata, Sicilia, Sardegna, Piemonte, Veneto, Lombardia e Friuli Venezia Giulia.
Il Decreto Sicurezza ha messo a rischio oltre 3.000 aziende, minacciando 22mila posti di lavoro. Pertanto, le associazioni hanno presentato un’interrogazione parlamentare europea, sostenendo l’incompatibilità del decreto con la normativa UE e la giurisprudenza della Corte di Giustizia Europea. Intanto, migliaia di lavoratori attendono risposte per il futuro di quello che fino a pochi mesi fa era uno dei settori imprenditoriali più innovativi d’Italia.