Quando, all’inizio del 2025, si è iniziato a parlare concretamente di dazi americani sul caffè importato, Cristina Scocchia – amministratrice delegata di illycaffè – ha subito individuato la portata del problema.
Il mercato statunitense è uno dei pilastri della crescita dell’azienda, valendo circa il 20% del fatturato globale. Per questo motivo, l’ipotesi di un dazio fino al 15% sulle esportazioni italiane appariva immediatamente come un ostacolo pesante, non solo per la competitività del prodotto, ma anche per i piani di sviluppo del brand negli USA.
In diverse interviste, Scocchia ha sottolineato come un incremento tariffario di quella entità avrebbe “compresso in maniera significativa i margini”, generando un effetto domino su investimenti, prezzi finali e capacità di presidiare un mercato chiave.
La situazione, già complessa per l’intero settore del caffè, veniva aggravata da dinamiche internazionali che rendevano la materia prima più costosa e meno stabile. La manager ha ricordato più volte che, tra il 2015 e il 2021, il caffè verde oscillava tra i 100 e i 130 centesimi di dollaro a libbra, mentre negli ultimi anni la quotazione aveva raggiunto picchi quasi tripli, spinta anche da una forte speculazione finanziaria.
Nelle sue analisi, Scocchia ha evidenziato come alle difficoltà legate al clima nei principali Paesi produttori si sovrapponesse un ulteriore effetto distorsivo: le barriere commerciali. In un’intervista rilasciata a più testate, ha infatti spiegato che alcuni dazi applicati dagli USA al caffè verde proveniente dal Brasile avevano raggiunto anche il 50%, disincentivando le importazioni e contribuendo a irrigidire ulteriormente l’offerta. Una “tempesta perfetta” che toccava tutta la filiera, dai produttori ai trasformatori.
In questo contesto, illycaffè iniziava a valutare strade alternative. Scocchia ha confermato più volte che l’azienda stava esplorando l’ipotesi di una produzione dedicata direttamente negli Stati Uniti. Una scelta strategica che avrebbe permesso sia di mitigare l’impatto dei dazi, sia di rispondere con maggiore efficacia alle esigenze del mercato locale, riducendo costi logistici e aumentando la flessibilità dell’offerta.
La svolta arriva a metà novembre 2025, quando l’amministrazione statunitense annuncia la rimozione o la riduzione dei dazi su diversi prodotti alimentari, incluso il caffè.
In un’intervista al Corriere della Sera, Scocchia accoglie la decisione come “un segnale di distensione che incoraggia gli investimenti”, sottolineando come tale scelta rappresenti una boccata d’ossigeno per tutto il settore. Si dice convinta che il ritiro delle tariffe possa frenare la speculazione finanziaria, definendolo “una secchiata d’acqua gelida sulla speculazione”. Nella stessa occasione, la manager evidenzia che i benefici non saranno solo per le aziende, ma anche per i consumatori statunitensi, che potrebbero vedere allentarsi la pressione inflattiva legata ai costi della materia prima. E mentre ribadisce la natura strategica del mercato americano, conferma anche la volontà di continuare a valutare una produzione locale, ora sostenuta da un clima economico meno incerto.
Pur accogliendo la decisione con ottimismo, Scocchia precisa in un’intervista a la Repubblica che gli effetti sul conto economico non saranno immediati: la normalizzazione dei prezzi e la ripresa dei margini potrebbero concretizzarsi principalmente a partire dal 2026.



















