Esclusiva violata nei distributori automatici: la Cassazione conferma il risarcimento

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Esclusiva violata nei distributori automatici: la Cassazione conferma il risarcimento

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione (Sez. III civ., n. 21069/2024), riportata da lexced.com, offre un chiarimento rilevante per il settore del vending, affrontando la violazione di una clausola di esclusiva e l’utilizzo della liquidazione equitativa del danno.
Il caso nasce da un contratto di somministrazione con cui una società di gestione concedeva in comodato d’uso gratuito i propri distributori automatici a un cliente, prevedendo un vincolo di esclusività di circa tre anni. Il cliente, tuttavia, installava apparecchi concorrenti nei propri locali, spostando quelli del fornitore e violando così gli obblighi contrattuali. In base agli artt. 1453 e 1455 c.c., che disciplinano la risoluzione del contratto per inadempimento grave, il fornitore ritirava le apparecchiature e si rivolgeva al Tribunale chiedendo la risoluzione del contratto e il risarcimento del mancato guadagno, quantificato in circa 7.300 euro. Il Tribunale, però, rigettava tutte le domande, ritenendo non provato il danno.

La società di gestione si rivolgeva alla Corte d’Appello che ribaltava la pronuncia: la motivazione della sentenza di primo grado dimostrava che l’inadempimento era stato effettivamente accertato, motivo per cui il contratto doveva ritenersi risolto. La Corte d’Appello condannava quindi la società cliente al pagamento di 5.000 euro, liquidati equitativamente ai sensi dell’art. 1226 c.c., ritenendo impossibile calcolare con precisione il valore del danno.
Il cliente ricorreva in Cassazione sulla base di sette motivi con i quali contestava l’interpretazione della sentenza di primo grado, la validità dell’appello e l’uso della liquidazione equitativa.
La Suprema Corte rigettava integralmente il ricorso, fornendo indicazioni importanti per gli operatori del settore. In primo luogo, ha chiarito che il ricorso alla liquidazione equitativa è legittimo quando il danno è provato nella sua esistenza ma non è possibile determinarne con precisione l’ammontare; nel vending, per sua natura, è complesso stimare il fatturato perduto fino alla scadenza del contratto e ciò giustifica il ricorso all’equità. La Corte ha inoltre ribadito che, quando dispositivo e motivazione di una sentenza appaiono in conflitto, prevale la lettura complessiva della decisione e la motivazione esprime la reale volontà del giudice, ai sensi dell’art. 132 c.p.c.
La Cassazione ha spiegato che l’appello presentato dal fornitore era fatto bene, perché indicava con precisione quali errori aveva commesso il Tribunale, in particolare il fatto di non aver considerato i documenti che dimostravano il danno subito. Questo è importante perché l’articolo 342 del codice di procedura civile richiede che l’appello critichi in modo chiaro e dettagliato la sentenza impugnata. La Corte ha anche chiarito che, anche se la società cliente non si era presentata e non aveva contestato nulla nel primo grado, questo non significa automaticamente che tutti i fatti dichiarati dal fornitore siano considerati veri in base all’art. 115 c.p.c. Tuttavia, il fatto che il cliente non abbia mai contestato nulla può comunque essere usato dal giudice come indizio per dare più peso ai documenti e alle prove fornite dal fornitore.

Infine, la Cassazione ha confermato che la Corte d’Appello aveva spiegato in modo adeguato perché era necessario usare la “liquidazione equitativa” del danno: le motivazioni erano sufficienti e rispettavano il livello minimo richiesto dalla giurisprudenza per considerare valida una decisione.

Per gli operatori del vending il messaggio è chiaro: la violazione delle clausole di esclusiva espone a responsabilità piena e anche in assenza di un calcolo matematico preciso il giudice può riconoscere un risarcimento ragionevole, purché il danno sia dimostrato nella sua esistenza attraverso dati, documenti e consumi storici.

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